GAETANO VENEZIANO: UNA NUOVA PASSIONE NAPOLETANA DEL TARDO SEICENTO Dinko Fabris La voce “Passione” del New Grove Dictionary of Music and Musicians (2001) considera praticamente assente l’Italia nella storia della Passione in musica, dominata dal mondo germanico fino a Bach, con la sola eccezione di una composizione giovanile di Scarlatti. Sono in effetti pochissime le Passioni italiane dell’età barocca studiate e rieseguite modernamente. Tra queste la più significativa è certamente la Passio secundum Joannem, il primo capolavoro sacro di Alessandro Scarlatti, assegnato in passato dagli studiosi al periodo giovanile intorno al 1680, quando il palermitano si trovava ancora a Roma in rapporto con l’Oratorio del SS. Crocifisso. Sono evidenti i caratteri arcaici di questa composizione che, in anni recenti, erano stati giustificati proponendo che il giovane Scarlatti fosse stato influenzato dal modello di una Passione secondo Giovanni recentemente ritrovata, composta nella generazione precedente dallo zio siciliano Vincenzo Amato (Questa composizione, studiata da Umberto D’Arpa, è stata eseguita per la prima volta in età moderna nel 2001 nel corso del Festival Scarlatti di Palermo per iniziativa di Roberto Pagano, il maggiore studioso scarlattiano recentemente scomparso). Le Passioni scritte in Italia prima dell’età bachiana sono in realtà più numerose di quel che comunemente si pensi e sono particolarmente associate agli usi devozionali del sud Italia. Napoli può vantare anzi un primato d’eccezione, poiché vi furono stampate per la prima volta nel 1634 le versioni musicali di tutte le quattro Passioni evangeliche composte da Giovanni Maria Trabaci, maestro della Real Cappella, che per volontà del viceré spagnolo utilizzò un formato lussuoso. Mentre la corte vicereale della capitale introduceva le esecuzioni dei testi di Passione nel proprio cerimoniale, le confraternite laicali ne diffondevano l’uso a livello popolare in tutte le province del Regno, nell’ambito delle forme di devozione spettacolare della Settimana Santa tipiche della Controriforma. Esaminando l’insieme delle nuove fonti, siamo indotti a pensare che Alessandro Scarlatti, giunto a Napoli nel 1683 e subito imposto dal musicofilo viceré Del Carpio come maestro della Real Cappella, si sia adeguato ad una consolidata tradizione locale, quando gli fu richiesto di musicare - probabilmente già intorno al 1684-85, per la prima volta una Passione. La scoperta di un’altra Passione meridionale composta probabilmente nello stesso periodo da Gaetano Veneziano, organista della Real Cappella negli stessi anni in cui era maestro Scarlatti, alimenta l’ipotesi che si tratti in entrambi i casi di un repertorio utilizzato dalla Cappella vicereale durante i riti della Settimana Santa a Palazzo. Gaetano Veneziano (nato a Bisceglie, cittadina vicino Bari nel 1656 e morto a Napoli nel 1716, dopo avervi svolto quasi interamente la carriera artistica), era stato l’allievo prediletto di Francesco Provenzale, il più importante compositore napoletano prima dell’avvento di Scarlatti. La sua carriera si svolse ai più alti livelli, tanto da subentrare allo stesso Scarlatti come maestro della Real Cappella dal 1704 al 1708. Si tratta di un autore di primaria importanza nel passaggio tra il Seicento e il Settecento: Veneziano assicurò la trasmissione delle regole della scuola napoletana seicentesca alle successive generazioni, divenendo a sua volta maestro di numerosi protagonisti della musica del nuovo secolo. Entrato all’età di dieci anni nel Conservatorio di S. Maria di Loreto a Napoli, divenne allievo di Provenzale che lo coinvolse in seguito come suo copista di fiducia e maestrino nelle sue attività operistiche (il ventenne Gaetano fu il copista degli unici due manoscritti di opere di Provenzale superstiti, Lo schiavo di sua moglie e Stellidaura, rappresentate al teatro di San Bartolomeo nella prima metà degli anni 1670). Sposato nel 1677 con Antonia De Riso, ebbe figli e nipoti musicisti di cui sopravvivono numerose partiture. Nel 1678 fu nominato organista soprannumerario della Real Cappella di Palazzo, avviando un percorso che lo portò poi ad essere eletto organista del Tesoro di San Gennaro, maestro del suo antico Conservatorio di Loreto e infine, su concorso, maestro della Real Cappella al posto di Scarlatti nel 1704, l’anno della morte di Provenzale. Dopo un occasionale ritorno in Puglia, nel 1687 per curare l’esecuzione di un suo melodramma (Berenice) per le nozze del conte di Conversano Acquaviva d’Aragona, Veneziano divenne negli ultimi anni del Seicento uno dei più rinomati e influenti maestri di Napoli, chiamato a comporre musiche per centinaia di cappelle, chiese e congregazioni e per le tante festività religiose della capitale, come dimostrano le circa 120 composizioni manoscritte che di lui conserva l’Archivio musicale dell’Oratorio dei Girolamini (Filippini) di Napoli. Recentemente sono stati individuati quattro oratori di Veneziano, in parte su testi di Andrea Perrucci, che confermano la sua perizia compositiva. Veneziano era dunque uno dei pochi maestri autoctoni in grado di competere con Alessandro Scarlatti dopo la nomina di questi a maestro della Real Cappella, nel 1684. Le relazioni tra i due maestri, facilitate dalla partecipazione allo stesso organico, furono probabilmente molto strette. In particolare le Lezioni a voce sola e violiniper la Settimana Santa di Veneziano (copie uniche nell’Archivio dei Gerolamini di Napoli) si presentano con una scrittura paragonabile alle stupefacenti Lamentazioni di Alessandro Scarlatti e possono costituire un ulteriore elemento di confronto con le due rispettive Passioni, di cui condividono in gran parte la destinazione originale per i cantanti virtuosi della Real Cappella. Della Passione di Alessandro Scarlatti esistono due sole fonti manoscritte entrambe a Napoli (Biblioteca del Conservatorio e Archivio dell’Oratorio dei Gerolamini) col titolo Passio Domini nostri Jesu Christi secundum Johannem. Il testo infatti non si allontana dalla versione latina del Vangelo di Giovanni, con soli tre personaggi: il Testo, Cristo e Pilato, oltre al Coro (Turba). L’unicità di questa composizione giovanile di Scarlatti aveva condizionato in passato la datazione nei primi anni romani del compositore. Il recente confronto con la ritrovata Passione siciliana di Amato ha riaperto secondo alcuni l’ipotesi che si tratti di una delle prime composizioni del palermitano, composta a Roma prima di trasferirsi a Napoli. Invece già nel 2004 Benedikt Poensgen nella sua tesi dottorale Die offiziumskompositionen von Alessandro Scarlatti (presentata all’Università di Amburgo), aveva chiaramente dimostrato che le due redazioni napoletane della Passio di Scarlatti fossero datate intorno al 1685, ossia durante i primi anni a Napoli del compositore. In successivi interventi lo stesso Poesgen ha confermato la comune origine napoletana della Passione secondo Giovanni e delle Lamentazioni conservate presso l’Archivio dell’Accademia Filarmonica di Bologna, anch’esse databili intorno allo stesso periodo e che Poensgen paragonava correttamente alle Lezioni di Veneziano (si confrontino gli esempi incisi da Antonio Florio per la casa discografica Glossa). La Passione del Venerdi santo di Gaetano Veneziano, sullo stesso testo evangelico di Giovanni, sopravvive in copia unica nell’Archivio dell’Oratorio dei Gerolamini di Napoli ed è anch’essa databile intorno al 1685. Lo studio della Passione di Veneziano, finora inedita e composta su una struttura testuale e di movimenti assolutamente identica a quella di Scarlatti nello stesso ambiente e negli stessi anni, pone il suggello all’ipotesi che il compositore palermitano abbia scritto la sua composizione per le esigenze cerimoniali della Real Cappella di Napoli poco dopo la sua elezione a maestro. Il calendario liturgico napoletano, già di per sé ricolmo di occasioni festive in ogni periodo dell’anno, prevedeva infatti per l’organico della cappella vicereale una fitta serie di esecuzioni durante la Settimana Santa nelle chiese dove doveva recarsi il viceré con la corte (il calendario si legge nelle etiquetas della corte di Napoli che sopravvivono per gli anni 1634-1685). Oltre alle esecuzioni che accompagnavano i riti nella Cappella di palazzo e nelle varie chiese, erano particolarmente sentite due processioni che coinvolgevano la “nazione spagnola” per tutte le vie di Napoli: quella della notte del venerdi santo detta “de la Soledad”, con migliaia di soldati con torce illuminate, e quella del sabato santo che coinvolgeva le truppe e terminava con spari di artiglieria e fucili. Dobbiamo immaginare questo tipo di scenario per ricostruire idealmente l’atmosfera che caratterizzava la Napoli spagnola in cui videro la luce le due Passioni. Da un sistematico confronto strutturale tra le due composizioni, si confermano i numerosi punti in comune che dimostrano la loro creazione per una stessa funzione a poco tempo di distanza, ma anche differenze stilistiche profonde tra i due autori, rappresentanti di due mondi musicali diversi. Il testo evangelico latino è suddiviso esattamente nella stessa maniera dai due compositori, anche se Scarlatti non numera le 9 sezioni (che in Veneziano sono espressamente indicate). Si comprende perché gli studiosi abbiano sempre considerato come giovanile la composizione scarlattiana che, pur mostrando già forte la perizia contrappuntistica e la forza espressiva che caratterizzano l’arte del Palermitano fin dal suo esordio romano, non estrinseca tutte le potenzialità del discorso legato per gran parte della narrazione al recitativo con i brevi inserimenti del Coro (Turba). Inoltre la struttura ciclica per cui la conclusione riprende la meravigliosa idea iniziale del tema doloroso, riconduce con facilità ai modelli dell’oratorio romano che Scarlatti poté ascoltare nei suoi primi anni a Roma. Fin dall’inizio la composizione di Veneziano si situa su una dimensione artistica ben diversa, che prende le mosse dalla tradizione penitenziale napoletana ma svetta verso una straordinaria modernità nell’abile sovrapposizione dei due livelli, quello contrappuntistico e quello armonico di un basso continuo denso e complesso. Per la maggior parte del tempo la composizione di Veneziano si muove su accordi maggiori, elemento certo sorprendente per un testo così drammatico (ed infatti Scarlatti prende avvio con un do minore): dal La maggiore iniziale (anche qui ripreso ciclicamente nella conclusione) muovendosi attraverso Re maggiore (e relativa minore si), Sol maggiore, Do maggiore e Fa maggiore, lasciando soltanto l’ultimo tempo – con la dolorosa descrizione della morte di Cristo – attestato lungamente sull’accordo minore di si. La scrittura del Coro, a 9 voci, è in Veneziano più potente ed efficace pur nella simile brevità degli interventi, imposta del resto dal testo evangelico. Le atmosfere sonore che definiscono gli interventi ieratici di Cristo sono stupefacenti nella loro ipnotica densità, mentre Pilato e soprattutto la lunga parte del Testo (Evangelista) consentono a Veneziano di sfoggiare tutta la sua perizia di concertatore, con alternanza di situazioni ariose e recitativi spesso armonicamente modulanti. Non a caso le parti staccate originali della Passione conservate nell’Archivio dei Gerolamini si riferiscono ad un organico esuberante e vario: due violini, due violoncelli, liuto (o arpa) contrabasso e organo. Tutti strumenti affidati ai virtuosi della Cappella Reale napoletana del tempo. Dal confronto con la Passione di Scarlatti emerge un atteggiamento compositivo molto personale di Veneziano, che possiamo definire assai più estroverso, per la sua capacità di miscelare sapientemente stile antico e dirompente modernità , adeguando la scrittura alla prodigiosa tecnica vocale dei cantori vicereali cui è destinato il brano, e a rendere palpitanti emozioni le parti più drammatiche della narrazione evangelica della sofferenza finale di Gesù Cristo. Non a caso Hanns-Berthold Dietz, nel concludere un suo saggio del 1987 sulla musica sacra napoletana nel Seicento, aveva osservato: “Nella musica da chiesa di Gaetano Veneziano…troviamo quell’autentico consolidamento delle tendenze insieme più antiche e più moderne che serviranno da piattaforma per la generazione successiva di Nicola Fago, Domenico Sarro e Francesco Mancini nel primo Settecento”. Questo giudizio è ora pienamente provato dalla riscoperta della Passione secondo Giovanni di Gaetano Veneziano, riscoperta che dobbiamo a colui che è il vero artefice della rivalutazione ai nostri giorni di questo straordinario musicista della Napoli barocca, Antonio Florio con il suo insuperabile gruppo di musicisti specialisti, questa volta in fruttuosa collaborazione col Collegio Ghisleri di Pavia diretto da Giulio Prandi. Un autentico capolavoro ritrovato